Alfio antico.Il dio tamburo by Giuseppe Attardi;

Alfio antico.Il dio tamburo by Giuseppe Attardi;

autore:Giuseppe Attardi; [Attardi;, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788862319867
editore: edigita
pubblicato: 2020-08-03T22:00:00+00:00


Quel pastore che suona il tamburo come un dio incuriosisce Peppe Barra. Che, dopo lo spettacolo, tra un sarago arrosto e una bottiglia di vino bianco, gli promette: «Ci sentiremo presto».

IX. ALLA CONQUISTA DELLA SCENA

Peppe Barra è di parola. Un mese dopo, riecco Alfio all’ombra del Vesuvio, la sua seconda patria. È affascinato da Napoli, ballerina sensuale che danza sull’orlo del vulcano, consapevole del rischio ma ostinatamente piena di energia, felice di muoversi al ritmo della vita. Come i suoi tamburi.

Barra lo vuole per la favola teatrale Senza mani e senza piedi (1984): tra tovaglioli fatati, lingue che si allungano a dismisura, Madonne e Santi, diavoli orchestrali e poveri diavoli morti di fame, irrompe Pollichinelle, insonne e violento che riduce in salsicce il maggiordomo, fa a pezzi la Chanteuse, sbeffeggia Madama senza naso, duella col Boia. Una favola in cui lo sposo, ricco e cornuto, corteggia la sposa che ha la pancia gonfiata da qualcun altro e il comico in frac rosso canta balocchi e profumi e capinere. E quando tutto sembra concludersi per il meglio in un pandemonio di grida, risate e mazzate, come si conviene alle farse, ritorna il Boia incappucciato che tutti terrorizza e ricaccia, al suono indiavolato del tamburo nelle ombre della notte. Alfio è il diavolo: canta, suona e balla. «Allora vero è? Sei un diavolo con le corna!» rise una sera sua madre dopo aver visto lo spettacolo.

Alfio è l’incarnazione della figura del pastore così come si è tramandata nell’immaginario occidentale. «I pastori possono rappresentare un modello di idillio con la natura, oppure essere collocati addirittura fuori da ogni “misura” di civiltà: i Ciclopi, giganti-antropofagi, erano pastori. Le configurazioni storiche e materiali della realtà pastorale segnalano un’analoga, spesso sofferta, relazione di accoglienza/esclusione rispetto all’ambiente urbano e perfino al mondo rurale. I pastori possono infatti essere fonti feconde di alimenti (latte, caci, carni) e di vesti (grazie alla produzione della lana) e favorire la fertilità del suolo con lo sterco depositato dagli animali nelle transumanze, ma allo stesso tempo si qualificano come portatori di morte, quando versano il sangue dei loro animali (per procurarsi nutrimento o profitto), oppure nel caso in cui il passaggio delle greggi giunga a compro-mettere le coltivazioni. Nella concezione circolare del nesso morte-vita, così pregnante in tutte le società tradizionali, va pertanto ricercata la duplice essenza del Pastore, con tutta la sua straordinaria capacità di rappresentare situazioni antitetiche: agente del caos, emissario degli inferi, ma anche operoso demiurgo, infaticabile ordinatore della natura e delle sue forme»1.

Con Peppe e Concetta Barra, in Alfio Antico si riaccende quella passione per il teatro che aveva cominciato a covare nelle prime esperienze fiorentine. «Il teatro mi ha attratto sin da bambino, quando giocavo per far divertire i miei compagni di classe. Poi l’uso del bastone da pastore ha contribuito a sviluppare una gestualità che si è rivelata importante per esempio nel fare Pulcinella per Barra nello spettacolo Sempre sì (1986). Forse il teatro mi ha dato qualcosa in più, ha contribuito al mio modo di stare sul palco, alla mia gestualità, al modo di comunicare».



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